#Civediamosabato/24
Bentrovati!
Oggi, qui, proviamo a decostruire un concetto fin troppo permeato nella nostra cultura al punto che il Governo Meloni lo utilizza per promuovere (?) finte politiche per la FAMIGLIA e per la DONNA.
(Aiuto); oggi parliamo dell’istinto materno.
Partiamo con una frase forte, che dice anche Marcello Florita in “Divenire genitori e divenire figli”, l’istinto materno è sopravvalutato.
Nel tessuto culturale di molte società, l’istinto materno è stato encomiato e glorificato al punto da creare una narrativa complessa intorno alla maternità. Questa enfasi sull’istinto materno tende paradossalmente a passivizzare le donne, privando la maternità della sua intrinseca qualità processuale e minimizzando il valore della scoperta dell’altro.
Questo approccio comune all’istinto materno mette in secondo piano la complessità della maternità e promuove l’idea che una donna incinta debba solamente aspettare passivamente un futuro magico in cui avverrà la sintonizzazione con il neonato.
L’istinto materno è un concetto complesso che viene (spesso) semplificato e idealizzato nelle rappresentazioni culturali.
Si presume che ogni donna, debba PRIMA sentire come un richiamo BIOLOGICO al divenire madre, adoperarsi per far sì che succeda il prima possibile (a prescindere da valutazioni di tipo relazionale, economico, sociale, di impatto sulla propria vita individuale e quella di coppia), una volta poi diventata effettivamente madre, debba automaticamente possedere un istinto materno innato che la guiderà attraverso la maternità. Ah, CON GIOIA.
Non facciamo poi che non siamo felici eh.
Questa visione è pericolosamente riduttiva poiché sottovaluta l’estrema varietà delle esperienze materne e le sfide che possono sorgere.
Non tutte le donne sviluppano istinti materni automatici, e questo non le rende madri meno capaci o amorevoli.
La narrazione che circonda l’istinto materno spesso suggerisce che le donne incinte debbano semplicemente aspettare che il loro istinto materno le guidi attraverso la maternità. Questo porta a una sorta di passività culturale in cui le donne possono sentirsi obbligate a seguire un percorso prefissato senza esplorare le loro stesse emozioni, dubbi o desideri.
La maternità si esplica come un viaggio individuale, e non dovrebbe DA NESSUNO esser misurata in base a uno stereotipo culturalmente imposto.
La maternità, al contrario, dovrebbe essere un processo di de-costruzione e scoperta, un viaggio in cui le donne possono esplorare e sviluppare la propria relazione con il bambino in modo autentico.
La maternità è un processo continuo, non un evento isolato. Tuttavia, l’iperfocalizzazione sull’istinto materno spinge spesso le donne a concentrarsi unicamente sull’idea di diventare madri, trascurando il processo di diventare genitori. Questa enfasi sulla fine, sull’obiettivo, invece che sul percorso, può impedire alle donne di scoprirsi e scoprire l’altro.
L’amore per il proprio figlio si costruisce nell’incontro intimo con l’altro, nella scoperta dell’altro, nella relazione con l’altro.
Non è detto che nasca al primo sguardo.
Può capitare come no, quindi non va glorificato nè uno, nè l’altro.
La maternità è un processo di crescita, adattamento e apprendimento, che va ben oltre l’idea stereotipata di “istinto materno”.
Dovremmo promuovere la valorizzazione della scoperta dell’altro: la maternità dovrebbe essere un’opportunità di apprendimento reciproco, in cui la madre e il neonato si scoprono a vicenda.
Questa relazione deve porre le sue basi sulla comunicazione, sull’ascolto e sulla comprensione reciproca, anziché sull’idea di un “magicamente realizzarsi a prima vista”.
L’istinto materno è solo una parte della complessità della maternità, riconoscere che ogni donna e ogni situazione sono uniche.
Credere nell’unicità delle persone permette di esprimersi per come si è a prescindere dai costrutti culturali che si sono avvicendati nel corso degli anni.
È arrivato il momento di liberare le donne anche di questo obbligo e potersi connettere al loro mondo interno, ascoltarsi, capirsi e connettersi all’altro.
Parte del mio lavoro consiste nell’accompagnare i genitori a relazionarsi con l’idea che ogni genitore è unico, così lo anche è il bambino, così è la relazione. Questo permette ai genitori di accogliere l’imprevedibile.
Dovremmo supportarli i neo-genitori, fornirgli strumenti, non trovare nuove forme di decontribuzione per chi ha 2 figli o più.
Costruire nidi, assumere personale. Costruire un contesto, un ambiente, un dove in cui esserci, conoscersi, crescere.
Ma, anche questo, non sembra essere l’obiettivo di questo governo.
Ci vediamo sabato,
Doc.
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