Identità e resistenza: perché la visibilità non basta

Bentrovati su #civediamosabato, 

Il 31 marzo è stato il Trans Day of Visibility (TDoV), una giornata per riconoscere e sostenere le persone transgender. Ma il punto non era solo la celebrazione. Il punto era – ed è – la sopravvivenza.


Guardandoci indietro, possiamo chiederci: quanta visibilità si è trasformata in cambiamento concreto? Il mondo dovrebbe essere un posto più sicuro per chiunque voglia vivere la propria identità senza paura. E invece continuiamo ad assistere a una deriva politica pericolosa, in cui le persone trans sono sempre più spesso bersagli di leggi restrittive, attacchi ideologici e narrazioni tossiche che le dipingono come un “problema sociale”. E quando la tua esistenza viene messa in discussione ogni giorno, il prezzo da pagare diventa altissimo.

QUANDO L’IDENTITÀ È UNA LOTTA, LA SALUTE MENTALE NE PAGA IL PREZZO

Il clima politico attuale non parla solo di una questione di diritti civili: più in grande si configura come una questione di salute pubblica. Se vivi in un mondo che cerca di cancellarti, il rischio di ansia, depressione e suicidio diventa spaventosamente concreto. Le statistiche lo confermano da anni: il supporto sociale e l’accettazione riducono drasticamente il disagio psicologico tra le persone trans. Al contrario, legislazioni discriminatorie e discorsi d’odio aumentano lo stress cronico, con conseguenze devastanti.

E no, non si tratta solo di “sensibilità”. Ma di scienza. Di neurobiologia, di psicologia. 

Essere costantemente esposti a ostilità sociale e istituzionale crea un livello di stress che il nostro cervello elabora come minaccia continua. E vivere in un perenne stato di allerta logora, spegne, porta alla disperazione.

Le politiche trumpiane hanno amplificato questa minaccia: dai tentativi di escludere le persone trans dall’esercito alle restrizioni sull’accesso alle cure mediche, fino alle leggi che mirano a cancellare l’identità di genere dai documenti ufficiali. Ogni attacco legislativo è un messaggio chiaro: non avete diritto di esistere. E quando uno Stato sancisce la tua inesistenza, l’impatto sulla salute mentale diviene devastante.

Ma in Italia non siamo messi tanto meglio. 

Le politiche del governo Meloni nei confronti della popolazione trans continuano a suscitare estrema preoccupazione. 

Assistiamo a una crescente distanza tra la politica e i diritti delle persone trans. L’esclusione delle associazioni trans dal dibattito sulle linee guida per le terapie ormonali e l’assenza di legislazioni inclusive sono segnali inquietanti.

Per quanto riguarda l’identità alias, l’Italia sta vivendo una situazione di disparità. Mentre alcune amministrazioni locali, come quella di Milano, hanno introdotto misure per riconoscere l’identità alias, a livello nazionale si fa davvero ancora troppo poco. Le università, come quella di Bologna, stanno avanzando su questo fronte, ma senza una normativa chiara a livello statale, il rischio è che rimanga tutto nel limbo, lasciando spazio alla discrezionalità. Eppure, una domanda che lascio sul tavolo è: come possiamo parlare di diritti quando l’identità stessa è ancora oggetto di dibattito e negazione?

TERAPIE RIPARATIVE: UNA FERITA ANCORA APERTA

Se pensavate che le terapie riparative fossero un capitolo chiuso della storia, ripensateci. Perché, nonostante siano state discreditate scientificamente, c’è ancora chi tenta di legittimarle. Sono pratiche basate sull’idea che l’identità di genere possa essere “corretta” che soffiano aria sul fuoco dell’angoscia sopratutto genitoriale, di avere tra le mani un minore con questo tipo di vissuto e non sa da dove cominciare. 

Come ho scritto qui parlando di Joseph Nicolosi queste pseudo-terapie non solo non funzionano, ma lasciano cicatrici profonde su chi le subisce. Perché il messaggio che trasmettono appare chiaro e spietato: tu non vai bene così come sei.

E questo, per chi già fatica a trovare il proprio spazio nel mondo, è devastante.

DOPO IL 31 MARZO, COSA RESTA?

Essere visibili significa esistere. Significa dire a chi è più giovane, a chi è isolato, a chi è spaventato: ci siamo, non sei solo, non sei sbagliato, non sei un problema da risolvere.

Ma la visibilità, da sola, non basta. Serve protezione. Servono leggi che tutelino i diritti umani. Serve una cultura che smetta di considerare la diversità di genere come un’eccezione o un disturbo. Serve un cambiamento radicale, e serve adesso, anzi serviva ieri. 

La visibilità non può essere una parentesi, non può essere solo un hashtag che poi scompare nel rumore di fondo. Continuiamo a farci domande scomode, a smontare narrazioni disfunzionali, ad ascoltare davvero le voci delle persone trans. Perché la battaglia per i diritti non si gioca in un solo giorno, e non finisce finché ogni persona trans non potrà vivere la propria identità senza paura.

Ci vediamo sabato prossimo. Sempre qui, sempre senza risposte facili.

Doc 


Suggerimenti  

📚Diane Ehrensaft – Il bambino gender creative