Possiamo scegliere se educare o piangere

Bentrovati su #civediamosabato, 

una ragazza di 14 anni è stata uccisa dal suo ex fidanzato, un ragazzo di 19.

L’ennesimo femminicidio.

L’ennesimo corpo giovanissimo.

L’ennesimo funerale a cui non dovremmo mai assistere.

L’ennesimo silenzio delle istituzioni.

L’ennesima volta in cui ci chiediamo: com’è possibile?

Ma la verità è che è possibile eccome, in un Paese che non fa nulla per impedirlo.

Viviamo in una cultura che non parla d’amore, non parla di rispetto, non parla di corpo, non parla di consenso.

Una cultura che lascia i ragazzə da solə, a formarsi davanti a pornografia violenta, influencer misogini, modelli relazionali fondati sul controllo (potrei continuare, ma son sicura di aver reso l’idea). 

Una cultura che non introduce l’educazione sessuale e sentimentale nelle scuole, ma poi si indigna (forse?) se un ragazzo di 19 anni uccide una ragazza di 14.

Lo abbiamo già detto in questa newsletter, tante volte: questo non è un caso isolato. Questo è sistema. Sistema patriarcale. Sistema educativo fallimentare. Sistema istituzionale che si gira dall’altra parte.

C’è una scena, nella serie Adolescence, in cui la psicologa guarda il protagonista negli occhi e gli chiede:

“Ma tu hai capito che è morta per sempre?”

Ecco, questa domanda dovremmo farcela anche noi. 

Tutti. 

Politicə, genitori, insegnanti, giornalistə, educatorə, cittadini.

L’avete capito che è morta per sempre?

Che aveva 14 anni?

Che aveva la vita davanti?

Che non potrà mai diventare grande?

Che qualcuno ha deciso che il suo corpo, il suo “no”, non valevano niente?

E intanto la politica tace.

Tace sui consultori chiusi.

Tace sull’educazione sentimentale.

Tace sulle leggi ferme in Parlamento.

Tace su ciò che non gli conviene dire.

Ma non possiamo più tacere noi.

Nel suo libro Gli svedesi lo fanno meglio, Flavia Restivo ci racconta cosa accade quando uno Stato decide di fare sul serio:

educazione sessuale obbligatoria, insegnata da esperti.

Parole chiare, strumenti pratici, cultura del rispetto.

E mentre noi ancora discutiamo se “parlare di sesso a scuola rovina l’innocenza”, in altri Paesi si previene. Si educa. Si salvano vite. Letteralmente.

Non basta piangere le vittime. 

Non basta indignarsi dopo.

È necessario agire prima.

È necessario educare prima.

È necessario credere prima.

È necessario proteggere prima.

Lo dobbiamo a questa ragazza.

A tutte le ragazze che non sono state credute.

A tutte le ragazze che ancora oggi hanno paura a dire di no.

Ci vediamo sabato prossimo. Sempre qui, sempre senza risposte facili.


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