Genitori si, ma solo se etero

Bentrovati a tuttə,

questa settimana è arrivata una notizia che merita spazio, attenzione e parole giuste:

la Corte Costituzionale ha stabilito che nei casi di procreazione medicalmente assistita (PMA) all’estero, entrambe le madri devono essere riconosciute come genitori. Automaticamente. Senza dover ricorrere al tribunale. Senza dover lottare ancora, ancora e ancora.

Una buona notizia, sì. Ma anche una notizia che ci ricorda quanto in questo Paese il futuro era ieri. Non stiamo infatti parlando di un cambiamento normativo coraggioso o di una legge progressista. 

No. 

Stiamo parlando di una “toppa” messa su

dalla Consulta per riparare all’inazione politica, all’omissione, al disinteresse istituzionale detto anche interesse politico di andare in una certa direzione. 

Nel frattempo, nelle scuole e negli uffici anagrafe, le famiglie omogenitoriali continuano a essere invisibili o rifiutate.

La narrazione dominante continua a trattare la genitorialità come una questione “naturale” e quindi, sottinteso, eterosessuale. 

Nel frattempo, le madri lesbiche vengono ancora chiamate “madri surrogate”, “compagne”, “estranee”, come se l’amore e la responsabilità non valessero nulla senza un uomo. 

E mentre questo accade, i numeri parlano chiaro:

secondo il rapporto ILGA-Europe del 2025, l’Italia si classifica 35ª su 49 Paesi europei per quanto riguarda i diritti delle persone LGBT. 

Dietro a quasi tutti gli altri Paesi dell’Unione Europea.

Dietro a Stati che hanno attraversato crisi istituzionali, economiche, politiche.

Dietro, perché non c’è volontà politica di andare avanti.

È la stessa logica con cui si autorizzano gruppi pro-life nei consultori, si delegittima l’aborto, si attaccano i percorsi delle persone trans, si disegna la famiglia come una fortezza chiusa a chi non rientra nel binario tradizionale. 

Eppure la realtà è molto più avanti.

I bambini crescono bene con due mamme. Con due papà, con genitori single. 

Le famiglie resistono, si raccontano, si fanno spazio e R-esistono dove lo Stato non appare, manca.

Ma non dovrebbe toccare sempre ai diretti interessati lottare per esistere.

Abbiamo bisogno di leggi chiare, di diritti automatici, di cittadinanza piena.

E abbiamo bisogno, soprattutto, di una cultura che riconosca la complessità dell’amore, della cura, delle relazioni.

Questa newsletter lo dice da sempre:

le battaglie dei corpi non sono mai solo personali. Sono politiche. Sono culturali. 

Sono collettive.

Lo abbiamo scritto parlando di I racconti dell’ancella, lo abbiamo detto raccontando delle famiglie che lottano per registrare i propri figli, lo abbiamo ripetuto mentre la politica taceva, o peggio ridefiniva “famiglia” in nome dell’ideologia.

Questa sentenza va celebrata, ma non ci basta.

Perché mentre un giudice chiarisce ciò che è ovvio, una parte del Paese guarda solo i talk crime. 

E il governo? Non pervenuto.O meglio pervenuto con tutto il suo disprezzo. 

Come sempre, non è il momento di abbassare la voce.

È il momento di continuare a raccontare, spiegare, educare.

È il momento di dire che l’amore non si sceglie: si riconosce.

È il momento di non lasciare nessunə indietro.

Ci vediamo sabato prossimo. Sempre qui, sempre senza risposte facili.


Doc 


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