#Civediamosabato/22
Bentrovatə a tuttə.
Lo scorso 21 Aprile fuori dal reparto di Salute Mentale Adulti e SPDC dell’Ospedale Santa Chiara di Pisa è stata aggredita la psichiatra Barbara Capovani.
Le ferite riportate son state così gravi da condurre alla morte cerebrale la vittima. L’autore del reato risulta essere un suo ex paziente, ora in carcere e accusato di omicidio premeditato.
Questa notizia è così piena di tragicità che per digerirla ci vorrà un bel pò di tempo.
Questa storia porta in sé il dolore per una famiglia, per un sanitario, per un sistema sanitario, per le istituzioni.
Il Ministro della Sanità Orazio Schillaci si è detto pronto a “lavorare per individuare ogni altra strada percorribile e soluzioni utili a prevenire ogni genere di violenza”, contemporaneamente dalla loro vari direttori dei Dipartimenti di Salute Mentale hanno scritto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e alla premier Giorgia Meloni evidenziando la necessità e il “bisogno di nuovi strumenti, sia dal lato sanitario che della Giustizia, senza continuare a lasciare a mani nude migliaia di operatori”.
L’aggressione alla psichiatra permette di ragionare non tanto su questo o quel paziente, se era giusto o meno che fosse al di fuori di una struttura, ma il tema della sicurezza dei sanitari. I pazienti sono pazienti e non sono il centro del ragionamento che volevo poggiare sul tavolo.
Da clinico non posso non essere d’accordo con le parole di Angelo Cerù, direttore del Dipartimento Salute Mentale e dipendenze della Asl Toscana Nord Ovest il quale afferma che “quello che è successo a Barbara può accadere a chiunque di noi lavori nei reparti di salute mentale o nelle dipendenze”.
E’ proprio questo che colpisce di ciò che è accaduto: la violenza, l’efferatezza, ma anche l’angoscia e la casualità.
Potevo essere io.
O meglio, può succedere a me, posso essere io.
Con diversi colleghi ci siamo confrontati in questi ultimi giorni e tuttə condividiamo vissuti di angoscia pensando a Barbara Capovani.
La stessa angoscia che ci fa sentire soli al mattino presto o la sera tardi, quando i presidi sanitari sono vuoti e sempre più insicuri.
Perché di questo parliamo: un lento e inesorabile allontanamento e svuotamento che nel corso degli anni le istituzioni e il sistema sanitario più in generale ha perpetrato a danno di chi opera in prima linea (ma anche dei pazienti).
Noi siamo pochi, sottopagati, mal considerati e lasciati in mano all’incuria che sempre più abbraccia il nostro paese.
Solo negli ultimi tre anni abbiamo visto presidi che si occupano di sanità mentale venir presi d’assalto sopratutto dai più giovani bisognosi di attenzione e cure specialistiche.
Negli ultimi tre anni abbiamo visto un generale disinteresse della politica per le grida dei più fragili. Negli ultimi tre anni sono aumentati i ricoveri di natura psichiatrica, ma anche l’assunzione di psicofarmaci, sono aumentati i tentativi di suicidio e i suicidi.
Negli ultimi tre anni abbiamo assistito ad una politica che ha scelto di non occuparsi degli ultimi, che li ha lasciati vibrare nella rabbia, nella depressione, nella solitudine. Assistiamo ad una politica che ha scelto di ignorare il proprio futuro, che mistifica la realtà cui tuttə noi apparteniamo.
Non è giusto e non possiamo più permettere che si muoia di lavoro, sul posto di lavoro.
Le organizzazioni sindacali dei medici, dirigenti sanitari e veterinari sottolineano una vibrante “indignazione per tutte le vittime di un lavoro che è diventato troppo duro, troppo pericoloso, troppo opprimente”.
Un pensiero e un abbraccio il più grande che si possa alla famiglia di Barbara.
Mi dispiace, Barbara.
“Nel nostro mestiere la finalità è quella di affrontare, – trovare la maniera di affrontare la contraddizione che noi siamo: oppressori ed oppressi, e che dinanzi a noi abbiamo una persona che si vorrebbe opprimere. Bisogna fare in modo che questo non avvenga. L’uomo ha sempre questo impulso, di dominare l’altro; è naturale che sia così. È innaturale quando si istituzionalizza questo fenomeno oppressivo. Quando c’è un’organizzazione che, approfittando dei problemi contraddittori, crea un circuito di controllo per distruggere la contraddizione, assolutizzando i due poli della contraddizione ora in un modo ora nell’altro. Noi rifiutiamo questo discorso. Noi diciamo di affrontare la vita, perché la vita contiene salute e malattia, e affrontando la vita noi pensiamo di fare la prevenzione. Pensiamo di fare il nostro mestiere: di infermieri, di sanitari, di medici.”
Franco Basaglia
Ci vediamo sabato,
Buon Primo Maggio,
Doc
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