o su come si può riuscire a mettere (bene) su pellicola un tema complesso.
To the bone è uno dei docu-film (?) di Netflix uscito quest’estate. Non ha destato il clamore che destò Tredici, ma che in realtà meriterebbe.
È un condensato di dolore fisico/psichico/rituali/incomprensioni e lacrime, tante tantissime lacrime.Un attento zoom sui disturbi alimentari e su come ci si possa lavorare per cercare di conviverci.
I disturbi alimentari appartengono a quelle psicopatologie con le quali a fatica si riesce a convivere, ma non si «debella» l’anoressia o la bulimia. Non sono curabili come la febbre e non sono ossessioniche possono essere tenute a bada con un ottimo terapeuta e qualche strategia da attuare. Sono veri e propri motori che fanno girare la macchina umana.
E come per la depressione dove chi la vive si sente dire ogni santo giorno «sorridi ogni tanto» o «fatti una doccia», anche i disturbi alimentari fanno si che le persone che ne soffrono vivano in un loop di un «mangiatela una cosa», «sembri un fantasma» o «se mi vuoi bene, mangia questo». Come se lo scegliessero davvero di privarsi del cibo o di abbuffarsi per poi correre nei successivi 20 minuti a vomitare di nascosto.
To the bone ha un’ottima resa perché mette tutto questo in fila e ce la fa vedere da dentro la disperazione dell’anoressia. Ci fa toccare le braccia per vedere se riusciamo a formare un cerchio con le dita e ci catapulta dentro l’angoscia di morte. Ci fa desiderare di morire, poi di rialzarci e pensare “I will be fine”.
To the bone come Tredici, spaventa molti genitori (ma anche molti medici, psicologi, psicoterapeuti) convinti che i propri figli non possano comprendere al meglio quei contenuti ma anzi emuleranno quei comportamenti. Quando invece è proprio mettendo questi elementi nel discorso che si esorcizza la paura (dell’adulto) e si depotenzia il rischio (dell’adolescente).
Ricordo la mamma di una ragazza con un disturbo dell’alimentazione che seguivo anni fa che davanti all’ennesimo ricovero della figlia mi disse
«ma perché nessuno mi ha spiegato che stava succedendo? I medici ti dicono quali sono i segni della varicella e non ti dicono quelli di una cosa che può portare la propria figlia alla morte?».
Avere più informazioni ci fa capire meglio quello che sta succedendo intorno e dentro di noi.
Ci fa chiedere aiuto, l’aiuto più adeguato possibile.
Dobbiamo crescere questi ragazzi fornendogli più strumenti possibile per leggere il reale altrimenti non riusciranno a capirlo e allora lì si che dovremo preoccuparci perché aiutarli, supportarli, sarà sempre più difficile.