Joseph Nicolosi chi era e cosa ha fatto

Joseph Nicolosi — per chi non lo sapesse — era uno psicologo statunitense noto per essere uno dei principali sostenitori delle teorie sulla possibilità di “curare gli omosessuali”.

Nicolosi non solo lo sostiene durante tutta la sua vita, lo porta anche avanti come pratica clinica mettendo in atto le “terapie riparative”.

Diviene co-fondatore insieme a Benjamin Kaufman e Charles Socarides della NARTH “Associazione nazionale per la ricerca e terapia dell’omosessualità(National Association for Research and Therapy of Homosexuality).

Per Nicolosi l’orientamento sessuale è il prodotto di una condizione che dipende dalla “famiglia triadica”: l’omosessualità si prefigura come effetto di una “carenza di identità sessuale” causata da un’alienazione da individui dello stesso sesso del soggetto.

Il suo “approccio” se cosi si può dire, fonda le basi nelle teorie sviluppate negli anni sessanta dagli psichiatri statunitensi Charles Socarides e Irving Bieberche leggono la famiglia dell’omosessuale così configurata: padre distante e madre opprimente. Il figlio dunque si presenterebbe con una predisposizione — non determinazione — genetica a divenire omosessuale se ha un vissuto di questo genere.

Il lavoro, le politiche, la propaganda di Joseph Nicolosi non rimane quindi sui manuali di psichiatria anti-gay.

Miete vittime.

Nel suo nome un numero spaventoso di persone è stato sottoposto a torture fisiche e psicologiche, realizzando un “mercato dell’orrore che vedeva investimenti per milioni di dollari da parte di gruppi di estrema destra e profitti secondi solo al traffico illegale di armi.”

Le teorie riparative si basano sulla convinzione che tutti gli individui siano in origine eterosessuali e che l’omosessualità sia indotta da condizionamenti ambientali o da traumi familiari. Tutto questo nonostante anche l’OMS il 17 maggio 1990 elimina l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali definendola

“una variante naturale del comportamento umano“.

Il termine riparativo viene introdotto per la prima volta nel 1983 dalla psicologa inglese Elizabeth Moberly, secondo la quale gli uomini provano un’attrazione sessuale per altri uomini per compensare la mancanza della figura paterna durante l’infanzia. Sulla base di queste premesse la psicologa spinge i suoi pazienti a instaurare rapporti amicali con altri uomini aspirando così a frenare e ad evitare l’attrazione sessuale.


I metodi usati

Coloro che propugnano le terapie riparative usano diversi metodi che, secondo quanto sostengono, possono favorire un ritorno all’eterosessalità o — quanto meno — permettere alle persone omosessuali di controllare il desiderio erotico.

Tra i metodi utilizzati riconducibili al filone del ri-orientamento ci si rifà ai metodi pavloviani. 

Si annoverano dunque

  • l’elettroshock;
  • la suggestione ipnotica;
  • l’iniezione di farmaci inducenti nausea o vomito in associazione a stimoli omo-erotici.

Fanno parte, invece, del filone riparativo la psicoterapia (sebbene siano pratiche rifiutate dalle organizzazioni degli psicologi e psicoterapeuti), la preghiera collettiva e il counseling pastorale. Si tratta, in quest’ultimo caso, di tecniche meno invasive dal punto di vista fisico, ma non da quello psicologico.

Le diverse tecniche trovano la loro applicazione più cruenta nei “campi di rieducazione per adolescenti”. Vere e proprie strutture di tortura in cui i ragazzi omosessuali vengono rinchiusi con il consenso dei genitori e sottoposti a durissimi “regimi terapeutici“.

Questi campi hanno spesso condotto i ragazzi non solo a non raggiungere l’obiettivo di “ritornare” eterosessuali, ma li ha spinti all’acting-out, al suicidio. Alcuni di questi ragazzi sono morti durante lo stesso trattamento.

Una testimonianza illuminante, riportata anche su Wired.it, è quella di Leehla Alchorn, giovane transgender costretta dalla famiglia ad andare da uno psichiatra cristiano e poi suicidatasi a 17 anni.


Joseph Nicolosi in Italia

Nicolosi viene in Italia nel 2010 a promuovere un suo libro, per l’occasione più di duemila psicologi e terapeuti — tra cui il presidente nazionale dell’Ordine e i presidenti di diversi ordini regionali — firmano un documento contro le teorie dello psicologo statunitense.

Nel documento si legge che le teorie di Nicolosi e le terapie che su esse si basano “non solo incentivano il pregiudizio antiomosessuale, ma screditano le nostre professioni e delegittimano il nostro impegno per l’affermazione di una visione scientifica dell’omosessualità“.

Un terapeuta omofobo è estremamente pericoloso per la salute mentale degli individui e in particolare dei pazienti, in quanto rinforza nel soggetto i sentimenti negativi di colpa, disistima e vergogna che molti omosessuali provano, alimentando così l’omofobia interiorizzata e il minority stress, danneggiando così irrimediabilmente la salute mentale del soggetto.

Possiamo facilmente intuire quanto il quadro diviene ancor più dannoso se il paziente è nel pieno del percorso di individuazione e differenziazioneall’interno della famiglia: fase per sé delicata per il giovane adolescente che si trova alle prese con la costruzione della sua identità intra ed extra familiare.

Nel 2011 viene pubblicata la posizione ufficiale degli psicologi italiani sull’omofobia “l’omosessualità non è una malattia da curare, né un orientamento sessuale da modificare: affermare il contrario è una informazione scientificamente priva di fondamento e foriera di un pericoloso sostegno al pregiudizio sociale“.

Nel 2013 il Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi ribadisce — in un comunicato stampa — che l’omosessualità non è una malattia e che ritiene “gravissime e da respingere le affermazioni diverse da questa.

Inserendosi nel dibattito sulla legge contro l’omofobia il Consiglio ricorda che “la comunità scientifica internazionale, a ragione, ha da tempo rigettato le cosiddette terapie di conversione e riparative”.


Da clinici riteniamo sia da tempo venuto il momento di rendere illegali queste pratiche impropriamente definite “cliniche”.

Negli USA sono illegali in California, Illinois, Vermont, Oregon e New Jersey. Con gli occhi all’Europa l’unico Stato che riconosce illegale questo tipo di terapie è Malta, dove la legge prevede la detenzione fino a cinque anni e una multa fino a 4600 euro per chi è ritenuto colpevole di sottoporre qualcuno a tentativi di conversione dell’orientamento sessuale.

In Italia, il primo disegno di legge in questa direzione è stato presentato a luglio 2016 dal senatore Sergio Lo Giudice — Pd.

Il DDL n. 2402 vuole mettere al riparo le persone minorenni dalle terapie riparative, spesso seguite per consiglio o imposizione dei genitori.

Il disegno di legge prevede:

la reclusione fino a due anni; una multa da un minimo di 10mila a una massimo di 50mila euro per coloro che applicano le terapie riparative su un individuo che ha meno di diciotto anni, che rivestono un ruolo di supporto psicologico o psichiatrico (“psicologo, medico psichiatra, psicoterapeuta, terapeuta, consulente clinico, counsellor, consulente psicologico”) o educativo (“assistente sociale, educatore o pedagogista”) come scrive Beatrice de Vela.

Nel momento in cui scriviamo non è neanche ancora mai iniziata la discussione, quello che possiamo fare è continuare a parlarne, condannare chiunque creda che su quest’argomento ci si debba mantenere su una posizione di dialogo aperto e discussione, sottolineandone la pericolosità e denunciare chiunque perpetri violenza di questo genere sugli individui agli ordini professionali.

Per i colleghi professionisti clinici e ricercatori nel campo della salute mentale e della formazione (psicologi, psichiatri, psicoterapeuti, psicoanalisti) invitiamo a sottoscrivere la propria adesione qui.