Questo mi ha chiesto una paziente oggi, e mi ha fatto riflettere rispetto a ciò che è successo nelle vite di ognuno di noi durante questa quarantena.
Certamente può renderci malinconici la fine della quarantena, può farci sentire tristi, potrà addirittura mancarci la quarantena.
E perché sentiamo questo se all’inizio l’idea di star chiusi in casa senza amici, figli, nipoti ci faceva mancare l’aria?
Per diverse ragioni, una risposta possibile è insita nell’essere umano: l’uomo sa adattarsi al contesto.
Per quanto la quarantena spaventasse ognuno di noi, alla fine ce l’abbiamo fatta.
Siamo stati bravi ogni giorno ad arrivare a fine giornata integri, tutto sommato.
A un certo punto ci siamo così adattati che questo distanziamento sociale è divenuto routine, chi più chi meno si è ritrovato in casa costretto a starci e si è accomodato come meglio poteva, dirette Instagram, aperitivi su zoom, riunioni su skype, sedute su whatsapp.
E proprio ora che ci siamo adattati, ci viene detto che se vogliamo, possiamo uscire.
Se vogliamo andare a trovare un fidanzato, un affetto caro possiamo farlo. E forse questo ci spaventa. E aggiungerei giustamente.
Forse è spaventoso pensare di poter mettere piedi fuori di casa e immergersi in un mondo pericoloso, una realtà dove non c’è un vaccino, non ci sono posti sicuri.
Perché se c’è una cosa che abbiamo imparato in questa lunga (lunghissima) quarantena è che l’unico posto sicuro è casa; fuori di casa tutto è pericoloso, minaccioso.
Questa è una grande responsabilità che hanno i mezzi di comunicazione che hanno raccontato questa pandemia.
Prima svilendola, ridicolizzandola, poi relegandola ad una fetta di popolazione (come se la cosa ci rassicurasse) dopodichè è stata trattata come una guerra, con una narrazione farcita di eroi, morti, vittime e sopravvissuti. Casa di ognuno di noi è divenuta sempre più sicura, sempre più un fortino da difendere.
Non è una casualità che le case di ognuno di noi oggi hanno vita nuova, splendono. Che nei supermercati si trovino a fatica disinfettanti, amuchina e candeggina.
(Vi ricordate all’inizio erano finiti sugli scaffali di ogni supermercato?)
Abbiamo sentito il bisogno di pulire dentro ciò che non poteva esser pulito fuori.
Come mai fuori (penso soprattutto al nord) sia successo quel che è successo credo ce lo dirà il tempo, quel che possiamo fare già da oggi è individuare le responsabilità del percorso fatto fin qui e capire cosa possiamo modificare nel nostro domani.
Era necessario creare un clima di fiducia al fine di ottenere collaborazione da parte della popolazione tutta.
Era necessario pensare al bene comune come bene superiore rispetto al bene individuale, era necessario che si creasse un clima per cui ci si prendeva cura l’un con l’altro; era necessario che i mezzi di comunicazione lavorassero di fianco al governo non che puntassero al numero di click.
Era necessario che la collettività tutta venisse informata con numeri reali, che si facesse di tutto per creare un clima di fiducia affinché si partecipasse tutti insieme ad un evento così straordinario e spaventoso, che fosse riconosciuto ad ognuno di noi.
Da clinico, da professionista della salute mentale, esprimo tutto il mio disappunto nella mala gestione dei portati emotivi della pandemia. Non è stato mai davvero preso in considerazione il vissuto emotivo di ognuno di noi chiuso nella propria casa.
Ci è stato solo detto di restarci, e che sarebbe andato tutto bene, come se il nostro futuro dipendesse da un’entità astratta e non da noi.
Come se non contribuissimo a far sì che le cose vadano o meno bene nella nostra vita di tutti i giorni (anche prima della pandemia).
Era doveroso riconoscere che ognuno di noi aveva un ruolo in questa pandemia, ognuno diverso, ma ognuno importante.
Faremo andare tutto bene è invece un ritornello che ci diciamo tra colleghi, pronti ad accogliere le istanze dei prossimi tempi, consapevoli di quello che ci troveremo davanti agli occhi.
(Alla domanda ma un’analista ce l’ha l’analista che ha l’analista la risposta è sicuramente si)
Siamo pronti ad accogliere tante, tantissime persone che in questa pandemia hanno dato fondo a tutte le loro risorse e non ne hanno più; ad accogliere coloro che non son riusciti neanche a salutare i propri cari; tutti coloro che hanno lavorato duramente per salvare vite una dopo l’altra.
Accoglieremo tutti coloro che si son ritrovati costretti a condividere casa ventiquattrore su ventiquattro con: una famiglia disfunzionale; bambini da gestire mentre si continua a lavorare senza sosta (è stato permesso questo); la violenza domestica; figli disabili senza assistenza; anziani senza assistenza,..
Accoglieremo e lavoreremo con ognuno di loro al fine di elaborare questo enorme trauma collettivo che stiamo vivendo.
Accoglieremo tutti perché è il nostro lavoro, ma saremo sempre consapevoli che potevamo far andare le cose in maniera differente, poteva fare meno male questa pandemia.
Potevamo non ritrovarci ad avere paura di uscire di casa, ad avere paura nel rivedere i nostri cari, nella possibilità di far male ai nostri cari.
Potevamo chiuderci si, nelle nostre case, ma dovevamo essere supportati a farlo nel miglior modo possibile.
Dal 4 Maggio potremo uscire dalla fortezza che abbiamo igienizzato; questo non vuol dire che dovremo farlo per forza, ma vuol dire che se vogliamo farlo, dobbiamo farlo con senso di responsabilità proteggendoci gli uni con altri, ricordandoci sempre che questa pandemia non è caduta dal cielo ma è figlia di errori umani e in quanto tali rimediabili.
Ricordiamoci, sulla soglia della porta di prendere: chiavi, portafoglio e mascherina.