Ci vediamo venerdì

Prego, accomodati pure. 

Prima di iniziare credo sia giusto ricordarti che tutto quello che sta succedendo attorno a noi non è normale. Non ha niente di ordinario, incasellabile, prevedibile, accettabile

Sai cos’è invece normale? 

Stare male

Stare male è normale.

Se in queste settimane provi tristezza, stanchezza, angoscia ma anche rabbia, un senso di ingiustizia, ti manca l’aria, ti viene da vomitare, ti misuri la febbre anche se non ce l’hai, hai il batticuore, beh, è normale. 

Succede a te, al tuo vicino, ai tuoi amici, probabilmente anche al tuo dottore.

Succede a me. Non sempre, non tutto insieme, non tutti i giorni. Ma succede.

Succede a me che sono un clinico. I diplomi, le lauree, le specializzazioni, ma sopratutto le esperienze professionali attestano che sì, sono una persona che ha gli strumenti per prendersi cura delle persone: mi occupo da anni di bambini, adolescenti, coppie e famiglie. Ognuno di loro ha dei colori, delle sfumature, delle caratteristiche peculiari. Ognuno di loro è unico, perché alcuni schemi familiari si somigliano ma nessuna famiglia è uguale a un’altra. Ogni volta che una persona entra nel mio studio iniziamo un viaggio nei suoi percorsi interni più profondi, più intensi, e anche più dolorosi.

Un viaggio che passa attraverso pioggia fitta e sole che riscalda, tuoni e arcobaleni, pozzanghere e fiori. Un viaggio intenso, fatto di pause, corse, fermate, ripartenze e cadute. Qualcuno è più corto, altri sono più lunghi ma ognuno differente: non è una gara, non vince chi arriva primo, ma chi trova il suo passo.

Ognuno solo uguale a se stesso ma sempre diverso dal sé della prima volta. 

Poi è arrivato il virus. Il coronavirus ha bloccato quasi tutto. 

Ha bloccato i viaggi, i percorsi, gli ingressi a studio. 

Ci ha messi in una pausa innaturale.

Ci ha costretti a scegliere a cosa rinunciare: amici, viaggi, lavori, proposte, progetti per il futuro, case, figli. 

Ci ha imposto di congelare quasi tutto quello che ci rende quello che siamo, e abbiamo scoperto lentamente ma inesorabilmente che stare fermi può stancare più che camminare. Questa pausa non richiesta è stata (ed è) sfibrante

Quindi sì, anche io sono stanca

È stato (ed è) un anno provante. 

Un anno in cui per la prima volta tutte le terapie hanno un pezzo in comune: in ogni terapia parliamo di tamponi, isolamento, quarantena, temperatura, mascherine, contatti stretti. 

Parliamo con la mascherina, attenti, distanti. Non ci diamo la mano ad inizio seduta e neanche alla fine, ma ci si igienizza prima e dopo. 

Si sanificano: 

Maniglie 

Sedie

Divani 

Porte 

Si sta con la finestra aperta anche con il vento, il temporale, il caldo, il sole o il buio. 

Sono stanca come clinico per l’enorme richiesta di sforzo di contenimento emotivo. E sono stanca perché l’enorme sforzo cui noi siamo chiamati è figlio di una scarsissima  attenzione da parte degli “organi preposti” nel comunicare con cura ed efficacia sull’argomento. Una responsabilità della politica e dell’informazione. 

Sono furiosa per come si sta gestendo (malissimo) la salute psichica di questo paese. 

Mai stata al centro di nessun progetto politico, intendiamoci, ma mai come in questo momento è così deleterio che lo capirebbero anche i bambini che diligentemente hanno imparato parole come mascherina, che si lavano le mani, che con cura e attenzione rispettano turni, orari, spazi e distanze. 

Bambini ai quali abbiamo (hanno) tolto la scuola senza troppi problemi e dei quali ci siamo (si sono) dimenticati fino al 24.9.

Sono arrabbiata per come vengono tirati in viso i numeri dei positivi, sintomatici, asintomatici, percentuali di morti con e senza covid. Numeri gelidi che senza una contestualizzazione vogliono dire pochissimo ma hanno un effetto ipnotico-paralizzante-angosciante dirompente. 

Sono arrabbiata per come non si è assolutamente pensato che soprattutto in una pandemia globale fa la differenza il modo in cui comunichi i concetti a cui tieni.

La responsabilità civile e la cittadinanza attiva potevano davvero essere la chiave per coinvolgere l’intera popolazione per muoversi come un sistema sociale e non come singoli. 

Un sistema sociale è composto da diverse parti in relazione tra di loro che tendono all’equilibrio ed è più della somma delle parti che lo compongono. 

All’interno del sistema un ruolo cruciale è rivestito dalla comunicazione che non è soltanto quella verbale. Come ripeteva una mia didatta fino allo sfinimento: “Ogni atto è un atto comunicativo in quanto non si può non comunicare”

E allora si comunica anche scrivendo dpcm in cui si dimenticano intere fasce di popolazione; arrivando in ritardo sul ritardo della conferenza stampa; non chiamando non dico un pool ma almeno un esperto di salute mentale durante una pandemia globale. 

Sono poi furiosa per come la carta stampata abbia descritto nei mesi gli “imprudenti” adolescenti ma felice di come invece loro siano attenti, premurosi, capaci di convincere genitori e nonni ad indossare la mascherina a tenere la distanza; disposti a vedersi su Skype più che in piazza. [Bravi ragazzi, siete bravissimi, siete il nostro orgoglio. La nostra speranza, tutti quanti]. 

Per il disinteresse sui bambini, la totale dimenticanza delle famiglie. Furiosa per l’assenza di un passaggio sugli ultimi, sugli esclusi, su chi una pandemia non se la può permettere, su chi una casa nella quale chiudersi non ce l’ha.

Sono arrabbiata, frustrata e preoccupata per quello che sta accadendo e per quanto poco ci si sta occupando della salute mentale di ognuno di noi.

Per questo sento il bisogno di fare la mia parte di contribuire con quello che è il mio lavoro, per contestualizzare, riflettere, accogliere e provare rispondere ai dubbi che ti vengono, che ci vengono. 

Fare la mia parte vuol dire continuare a fare il mio lavoro in sicurezza, con una distanza fisica ma non umana: in questi mesi ho scoperto insieme ai miei pazienti che si può continuare a tenere un filo anche da lontano, con Skype, Facetime, Whatsapp o qualsiasi piattaforma sia stata il punto d’incontro giusto tra me e i miei pazienti.

Ma credo che in questo momento fare la mia parte sia anche condividere riflessioni e stati d’animo, e aprirmi alle riflessioni, agli stati d’animo e alle domande di chi, come tutti, in questo momento può avere bisogno di una risposta. 

Quest’altra parte sarà un appuntamento settimanale: distensivo e non angosciante, non ci troverai titoloni, numeri da capogiro, conta di tamponi rapidi e molecolari. Troverai info utili: cosa fare in caso di contatto stretto, numeri utili per tamponi a domicilio per la nonna o il papà, servizi di assistenza primaria per bambini o congiunti malati. 

Ci troverai riflessioni, dubbi e forse domande (ne ho anche io, non sei solo).

Non posso garantire risposte esaustive o soddisfacenti, però ci metto tutto quello di cui sono capace, perchè non è andato tutto bene ma possiamo far andare le cose nel modo migliore possibile. 

#Civediamovenerdì

Doc.

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