#Civediamovenerdi 2º Appuntamento
Il nostro secondo appuntamento di #Civediamovenerdi si apre con una novità: diventa una newsletter grazie ai tanti click ricevuti (di cui ringrazio uno per uno).
Una newsletter per capirci qualcosa in più su cosa stiamo vivendo, su come lo stiamo facendo; per capire qual è il modo migliore per ognuno di noi di vivere ciò che lo circonda, per provare a rispondere a dubbi che emergono in questi giorni così difficili e faticosi.
E’ un anno assurdo, a Dicembre 2019 è esplosa in Cina un’epidemia che rapidamente (troppo rapidamente) si è allargata a macchia d’olio in tutto il mondo. Ci siamo ritrovati improvvisamente a dover far fronte ad un’emergenza sanitaria, si è anteposta alle nostre vite, ai nostri bisogni. Il periodo di Marzo – Maggio 2020 è impresso nella mia memoria come un momento “sospeso”.
Le città svuotate, le strade riempite di annunci della Protezione Civile e di sirene, l’angoscia palpabile.
Ma se ti fermi adesso e ci pensi, tu, dico proprio a te
TU
come stai?
Che hai capito di quel pezzo di vita lì?
Che ti porti via da quel lockdown?
La retorica del “ne usciremo migliori” non ha convinto neanche quelli che la sbandieravano; però qualcosa di buono da salvare c’è sempre anche nelle tragedie.
Tu ti sei fermato a guardarlo? A prenderlo e portartelo via?
Io ad esempio ho capito definitivamente il potere della retorica della guerra. Abbiamo visto schieramenti di medici e infermieri eroi fino al 3 Maggio 2020, velocemente li abbiamo dimenticati, li abbiamo insultati nelle corsie degli ospedali, ma adesso con la risalita vertiginosa della curva di contagio li richiamiamo angeli, eroi e combattenti.
La parole utilizzate per descrivere la realtà concorrono nel crearla, questo non devi mai perderlo di vista. Farne un uso politico permette di farle muovere dentro di noi, farci agire e veicolare le nostre azioni.
Come dicevo nel primo appuntamento, poteva essere utilizzato un linguaggio positivo e partecipativo al fine di coinvolgerci tutti e partecipare collettivamente a quella che è un’emergenza sociale e non una guerra individuale.
Si è scelto (per motivi che vanno al di là delle mie competenze) di utilizzare un linguaggio bellico, che identificasse nel virus il nemico, nei medici, infermieri ed oss l’esercito, negli ospedali trincee e in chi a fatica recepiva indicazioni, un disertore.
La retorica della guerra è estremamente efficace nel qui ed ora: sull’onda dell’emergenza si sospendono i diritti per un obiettivo più grande e globale senza proteste da parte della collettività che ne comprende la straordinarietà della decisione.
Un limite di quest’approccio è che ha un tempo limitato, è efficace nel breve ma tiene poco se non integrato ad un approccio più profondo, collettivo, partecipativo di lettura della realtà e di messa in atto di strategie sociali condivise.
Un pò come la farmacoterapia e la psicologia: sicuramente un ansiolitico è più efficace nel gestire nel qui ed ora l’attacco d’ansia, ne abbassa la potenza, lo rende gestibile e compatibile con la vita quotidiana, questo però se non è accompagnato da un percorso individuale dove vengono indagate ed approfondite le motivazioni profonde che innescano quell’ansia, dopo un pò l’attacco d’ansia si ripresenterà e l’ansiolitico avrà perso la sua efficacia.
La retorica della guerra è molto utilizzata nel racconto dell’affare “medico” nel linguaggio giornalistico: per esempio nella narrativa che gira attorno al cancro.
La battaglia è contro il cancro (“mostro” il più delle volte) che viene vinta da chi guarisce e persa (?) da chi invece muore, sottolineando però l’eroico compito di chi lo “sconfigge”.
Come se una persona con un tumore possa davvero scegliere di non combattere abbastanza per la propria vita – come se fosse sua la colpa di aver perso “quella battaglia” – quando la parte difficilissima dell’aver a che fare con la malattia oncologica è proprio quello di accettare ed elaborare che a volte (purtroppo) buona parte la fa la fortuna o la sfortuna.
Nella narrazione che accompagna il coronavirus abbiamo una battaglia contro il mostro con tanto di bollettino di guerra (te la ricordi anche tu la conta dei morti delle 18 del primo lockdown?), medici e infermieri eroi incappucciati, pazienti di cui abbiamo addirittura saputo i nomi (paziente 0) dei quali indagavamo temperatura e saturazione.
Quello che possiamo ipotizzare a Novembre 2020 è che non creando partecipazione collettiva e non sollecitando la responsabilità sociale, non si è aiutato a lavorare nel profondo. Non si è fatto leva sulla capacità di resilienza (far fronte positivamente ad eventi negativi) degli individui, non è stata costruita una cornice di supporto e sostegno a chi era in casa, agli operatori sanitari, agli ammalati o ai parenti. Non si è pensato di proteggere i più fragili, tutelare il personale sanitario, docente. Nulla. Si è scelta una strada semplice.
Si è preso l’ansiolitico, ci si è chiusi in casa e si è andati avanti.
E oggi?
Oggi rischiamo seriamente di tornare a Marzo 2020. Con la differenza che sono passati più di 6 mesi, che dobbiamo ancora elaborarlo il primo lockdown e che sopratutto non vediamo la fine questa volta.
Perchè questo bisogna responsabilmente cominciare a dire. Chè avere un obiettivo aiuta a camminare, a proteggersi fino alla meta.
Se dovessi fare una maratona, partiresti mai domani mattina a correre 10 km se fino a ieri hai fatto al massimo la passeggiata al parco?
No, ok.
Avere un obiettivo da raggiungere aiuta a respirare mentre si cammina, si percepiscono i passi, gli sforzi, le fatiche e le conquiste. Non averlo ci disorienta, spaventa, non permette di tenere e contenere l’angoscia.
E se non viene dato dall’alto, diamocelo noi.
L’obiettivo qual è: uscirne vivi, sani fisicamente e mediamente (non alziamo troppo l’asticella) sani psicologicamente?
Ce la possiamo fare, siamo prudenti, tuteliamo noi e gli altri. Se hai un raffreddore fermati, fatti una domanda, poniti un dubbio.
Se ti invitano ad una festa, pensaci davvero, pensa se vale la pena buttare tutti gli sforzi di questi mesi per farsi “l’ultimo aperitivo prima che ci chiudono”. Se non vedi un amico da tanto, aspetta ancora, videochiamalo, capirà e proteggervi l’un l’altro sarà solo un altro modo di volervi bene; se hai degli impegni che ti portano ad uscire di casa pensa sempre “c’è un altro modo per farlo in sicurezza?”.
Nel 2020 abbiamo così tanta tecnologia ad aiutarci che possiamo sentirci fortunati a non esserci finiti nel 1990 coi telefoni a gettoni.
A distanza possiamo fare dall’home working alle visite specialistiche, psicoterapie e logopedia, corsi preparto e ginnastica.
Tutto senza mascherina e sicurezza.
Un obiettivo ragionevole da raggiungere in questa nuova fase è la somministrazione del vaccino.
Fino a quel momento possiamo fare tutto quello che è nel nostro potere per informarci, proteggerci e proteggere l’altro.
Prendersi cura della propria salute e di quella degli altri è l’unica strategia che abbiamo da mettere in atto per superare la pandemia che stiamo vivendo.
Prendersi cura della propria salute vuol dire anche fermarsi.
Pensare a come stai.
A come ti senti.
Guardati allo specchio.
Non avere paura di essere onesto.
Chieditelo. Lo so che è difficile, però chieditelo.
Cosa provi? Tristezza? Paura? Angoscia? Rabbia? Ti senti in trappola?
Cosa senti? Un uovosodo che non va nè su nè giù?
Prendersi cura di se stessi vuol dire anche capire che colore hanno le emozioni, in una situazione stressogena come questa possiamo anche serenamente provarle tutte nella stessa giornata; ma le avremo viste, riconosciute e ne saremo consapevoli.
Sapere quali sono le emozioni che viviamo ci permette di entrare in contatto con noi stessi, di far fronte alle situazioni che abbiamo di fronte e permette di intervenire se qualcosa ci mette seriamente in difficoltà.
Lo so che non sei abituato a chiederti come stai, ma è importante, solo così puoi capire cosa puoi fare per te. E fare per te le cose giuste porta a fare le cose giuste anche per chi ti sta vicino e solo così potremmo uscirne sulle nostre gambe, coi capelli bianchi, (una marea), pieni pieni pieni di rughe, con le occhiaie e forse qualche chilo in più (maledetta panificazione) ma vivi.
“Non sarò mai abbastanza cinico
Da smettere di credere
Che il mondo possa essere
Migliore di com’è
Ma non sarò neanche tanto stupido
Da credere
Che il mondo possa crescere
Se non parto da me”
Dice Brunori. Pensaci, magari ascoltala, poi mi dici che ne pensi.
#Civediamovenerdì,
Doc.
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