#Civediamovenerdi/ 12


#Civediamovenerdi                   12 ºAppuntamento 

Abbiamo scollinato la settimana più difficile dell’anno, quella che inizia col lunedì dei lunedì. 

Comunque sia andata, ormai è fatta. Possiamo dirci bravi tutti e andare oltre. 

Le prossime settimane saranno importanti per capire l’effetto del Natale sui contagi (incrociamo le dita, anche se mi sembra non stia andando benissimo). 

Dopo la roulette dei colori, ho avuto seria difficoltà a capire se fosse necessario uscire o meno con l’autocertificazione. 

Questa settimana (probabilmente in enorme ritardo) mi è stato suggerito un sito molto ben strutturato che risponde facilmente alla domanda più gettonata negli ultimi giorni “Di che colore siamo”

Per non sbagliare, apri, vai sul sito e inserisci la tua regione. Facile, semplice, veloce. 

Qui 👇🏻

covidzone | Zone Covid Italia

Un tema a me caro che vorrei porre al centro della stanza è la cura
Non quella che gli scienziati hanno cercato per mesi contro il COVID-19, ma “l’nteressamento solerte e premuroso per un oggetto, che impegna sia il nostro animo sia la nostra attività” come suggerisce la Treccani.

Le relazioni di cura riempiono le mie giornate lavorative e sempre più mi confronto con il potere della cura intesa come riguardo, attenzione, premura, ma anche impegno, zelo, diligenza. 

È un concetto sfaccettato e denso di colori e sfumature. 

Si dice in maniera impropria del paziente che varca la soglia della stanza che è “in cura” dallo psicoterapeuta. Lo spazio di terapia non è un luogo di malattia, ma un luogo di crescitaamore e cambiamento. Troppo spesso demonizzato come il posto “dei matti”, chi non vi accede per timore, vergogna, pregiudizio purtroppo perde una enorme opportunità di ampliare lo sguardo su di sè e su gli altri.
In terapia si ha la possibilità di condurre una danza lungo le nostre fatiche, i nostri dolori, i nostri blocchi che permette di alleggerire, ridefinire, fare pace, de-costruire e ricostruire stando seduti, su un (comodo) divano. 

La potenzialità della cura della parola – come la chiamava Freud – è infinita. Lì dove non c’è reciprocità nella relazione puoi esserci tu e solo te stesso, hai l’opportunità di ascoltare (e non sentire) che suono hanno le tue parole, pesarle, smussarle e farle rassomigliare alla versione migliore di te. Lì, su quel divano puoi scandagliare ogni porta socchiusa e liberare spazio per esperienze nuove. Avere cura dei tuoi sentimenti, capire quali sono e che rumore fanno, è lo strumento migliore possibile per prenderti cura dell’altro, che sia esso un compagno, figlio, genitore, amico, cane. 

Avere cura di sè prepara il terreno alla cura per l’altro

Avere cura di sè è uno degli strumenti per tendere alla cura per l’altro. Avere cura di sè vuol dire vaccinarsi prima possibile se se ne ha la possibilità, avere cura per l’altro vuol dire condividerlo con i propri amici, con i propri affetti; dare all’altro la concretezza della vicinanza della cura in senso medico. Della fine di questo lungo lunghissimo anno di COVID-19. 

Avere cura di sè, mette se e l’altro al centro, per un bene comune, e probabilmente non causa una crisi di governo durante una pandemia globale. 

A Venerdì, 

Doc. 

[per domande, dubbi, perplessità 

v.tucci.studio@gmail.com]

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