#Civediamovenerdi 13ºAppuntamento
Eccoci qui.
Durante questa settimana si è parlato molto dei nostri ragazzi, l’attenzione si è concentrata attorno alle parole di Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza del Bambin Gesù di Roma. L’allarme lanciato da Vicari riguarda l’aumento dei casi di autolesionismo nei preadolescenti e adolescenti italiani, dalla comparsa del Covid.
”Mai come in questi mesi, da novembre a oggi, abbiamo avuto il reparto occupato al 100 per cento dei posti disponibili, mentre negli altri anni, di media, eravamo al 70 per cento. Le diagnosi che predominano sono quelle del tentativo di suicidio. Ho avuto per settimane tutti i posti letto occupati da tentativi di suicidio e non mi era mai successo”.
Da terapeuta familiare, molto del mio lavoro di cura si occupa di adolescenza e famiglia, ed ho potuto toccare con mano come il malessere dei ragazzi nel 2020 sia stato semplicemente enorme. Ho ascoltato parole di fatica e dolore, ho visto corpi segnati, famiglie sull’orlo del collasso.
Personalmente non amo le dichiarazioni allarmanti, ma in questo caso ritengo che l’allarme sia giustificato, a fronte di un rischio che non è più solo una possibilità ma una realtà.
Il costo dell’isolamento sociale degli adolescenti è attualmente incalcolabile, è plurisfaccettato e figlio di una totale amnesia politica che li ha prima dimenticati, poi incolpati e ora chiusi in cameretta.
È onesto dal mio punto di vista riflettere sul fatto che più consultori chiudono (guardate i dati di Roma – non un paesino, la Capitale – degli ultimi 5 anni) più i ragazzi perdono luoghi di cura e più si ammassano nei 2 centri romani pubblici (Bambin Gesù – Policlinico Umberto I) che rispondono alla domanda di cura degli adolescenti dell’intero sud Italia.
E sottomano abbiamo, come sempre, solo i dati di chi si rivolge ai servizi. C’è un mare sommerso di ragazzi che soffrono senza neanche trovare la forza di chiedere aiuto e di entrare in queste statistiche.
Quel che è chiaro in base ai numeri che abbiamonei servizi pubblici è un aumento vertiginoso del numero di giovani e giovanissimi che hanno avuto condotte autolesive dall’inizio della pandemia.
Lavoro da diversi anni con ragazzi autolesionisti ma quest’anno i numeri sono fuori scala, l’angoscia è dirompente. I ragazzi – sempre più piccoli – provano tutti gli strumenti che hanno a disposizione per sentire il meno possibile quel dolore disgregante.
E cosa hanno a disposizione bloccati in casa? Tonnellate di farmaci che si possono combinare tra loro per ottenere un effetto ottundente; forbici che diventano taglierini di braccia e cosce; balconi che somigliano a trampolini.
Non sono metafore, non parlo per sentito dire.
Uno dei dolori che preme di più quando ascolto i loro racconti è la consapevolezza che non vi sia alcuna riflessione politica su di loro.
Si sentono senza scampo, senza ascolto, soli in un dolore che vogliono spegnere. Si sono chiuse le scuole senza pensarci due volte e non si è pensato, ipotizzato nè proposto nulla che potesse riconnettere giovani adolescenti.
Banalizzare la scuola schiacciandola unicamente sotto la lente della didattica è un errore che ci costerà caro.
Il luogo della scuola è per i ragazzi un luogo di socializzazione, e permette di far sperimentare e crescere in senso evolutivo i ragazzi.
La sperimentazione socio-affettiva è un aspetto fondamentale per gli adulti di domani, permettere loro di connettersi tra pari, sfidare i limiti delineati dai genitori, mettere in dubbio la loro visione del mondo, cercare la propria identità camminando ed inciampando.
Tutto questo è sospeso da quasi un anno per un’intera generazione che sta pagando un prezzo altissimo e se è vero che le famiglie non sono colpevoli (ma colpevole è chi li ha dimenticati e messi in coda) è vero anche che è necessario essere responsabili DI questa generazione.
È necessario osservarli, capire come si muovono, che amicizie hanno senza cercar di essere loro amici, ma di fare i genitori.
Essere a debita distanza ma presenti e disponibili.
Guardarli davvero, ascoltare le loro parole, farle risuonare, dare loro il giusto peso.
Capire come stanno, chiedere loro di raccontare come stanno vivendo questo lungo isolamento.
Com’è la DAD? Come sono i professori? Ti manca fare ricreazione? I compiti in classe come li svolgete? Come ti sembra questa nuova esperienza? Manterresti qualcosa della nuova scuola? Che vorresti fare nel tuo tempo libero? Facciamo qualcosa insieme? Mi racconti cosa succede in questo videogioco?
Osservateli vivere vicino a voi e date loro spazio per esprimersi. Chiedete loro a che ora vanno a dormire, e monitorate il sonno, senza ansia, ma cercando di capire cosa accade nella notte.
Giocano fino alle 2? Si svegliano alle 8 con la scuola che inizia 8.10? Fanno colazione? E il pranzo?
Prendetevene cura, amateli più di sempre e se pensate che possano aver bisogno di aiuto, chiedete aiuto ad uno specialista.
Non fate da soli. Non siete soli.
Non vi improvvisate medici, psichiatri, psicoterapeuti.
Siate genitori. Nonni. Zii. Cugini. Fratelli.
Ognuno ha il suo ruolo. Ognuno fa la sua parte. Ognuno ha il suo valore. Ognuno è importante.
A Venerdì,
Doc.
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