#Civediamovenerdi 20º Appuntamento
Qualche anno fa una mia cara amica (e collega) mi ha regalato un Atlante delle emozioni umane, uno splendido compendio pieno di sfumature.
In questo venerdì di attesa in cui capire da che parte cade la sfumatura che rincorriamo da un anno, ho aperto a caso il libro e mi son trovata davanti ad un’emozione intricata ma credo perfetta dopo un anno di pandemia globale.
La “Nostalgia di casa”.
Nostalgia deriva dall’unione di due termini greci nostos (ritorno) e algos (dolore). Ha il potere di riportarci – attraverso i ricordi – alle immagini, odori, musiche, colori che ci conducono a un momento esatto della nostra vita; di farci vivere proprio qui ed ora, come se nessuna lancetta fosse andata avanti, quel viaggio che portiamo nel cuore.
La nostalgia di casa viene descritta nell’atlante come un aspetto possibile nella vita di tutti, appartenente a diverse fasi del ciclo di vita e caratteristico di certi sviluppi evolutivi. Caratterizzata da malinconia, ansia, preoccupazione, pensiero fisso che distoglie l’attenzione dalle attività quotidiane, attacchi di panico, tristezza profonda, incubi, difficoltà a concentrarsi.
Immagina che durante la guerra civile americana, la nostalgia di casa era così presente e vissuta con così dolore da parte dei soldati che era diventata motivo valido per il congedo; le bande musicali avevano il divieto di suonare “Home Sweet Home” con l’idea di evitare di peggiorare la situazione. Alla fine della Guerra civile, la nostalgia di casa era stata diagnosticata ad almeno 5000 soldati e 74 erano morti per il deperimento, diserzione e occasionali suicidi causati dalla malattia.
Quella che viviamo noi tutti oggi è una sorta di nostalgia di casa, paradossale in realtà. Perchè a casa è necessario starci il più possibile, ma abbiamo (chi più, chi meno) nostalgia della casa che abbiamo lasciato a Febbraio 2020.
Abbiamo corso dietro ad ogni arcobaleno appeso alle finestre, con i suoi “andrà tutto bene”, semplicemente perché era giusto così, per quel momento.
Pensare che ce l’avremmo fatta ci ha dato la giusta motivazione per non sentirci in trappola, o quantomeno sentirci in trappola il meno possibile.
Possiamo star qui a elencare tutte le cose che invece non sono andate bene per niente, ma la cosa che mi preme invece è quella di pensare a quelle che possiamo far andare bene oggi. Perché siamo artefici dei nostri cambiamenti.
Virginia Wolf parlava degli sguardi al passato come una “coerenza delle cose, una stabilità che brilla nel caos delle nostre vite come un gioiello prezioso”.
E’ un suggerimento che ci viene dal passato che può aiutarci a sostenere il peso di oggi, le preoccupazioni e un senso di spaesamento.
Ciò che possiamo prenderci da questa pandemia è proprio una parte di noi, un’attenzione a noi nel tempo e nel cambiamento. Tornare al passato, stabilire un improvviso contatto con un ricordo che si credeva perduto, riprendersi l’odore del pane del forno di Marzo 2020, il rumore del mare di Agosto 2019, i concerti di Giugno 2019, il freddo di Natale 2018; riconnettersi con sé stessi, con i propri ricordi può creare una sensazione positiva di appartenenza, di identità e continuità di cui abbiamo bisogno per fare le cose nel modo migliore possibile. Mai perfetto. Ma sempre migliore possibile.
Un gruppo di ricercatori ha notato che i sentimenti nostalgici sono più frequenti nei climi freddi: secondo loro, l’atto di ricordare potrebbe avere una funzione evolutiva legata all’aumento della temperatura corporea. I ricordi, dice Smith, scalderebbero letteralmente il cuore.
Usiamoli per costruire giorno dopo giorno chi siamo e chi saremo passata quest’ennesima ondata.
A Venerdì,
Doc.
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