Diteci perché

#Civediamosabato/14

Buongiorno e buon sabato,

Reduci dalla sua settimana santa non possiamo che parlare di Sanremo. 

Il coinvolgimento dei social, l’opera di svecchiamento che si sta facendo sul palco più piccolo e più guardato d’Italia mi sembra allargarsi sempre più.
L’hype nelle settimane che precedono il Festival è sempre più ampio e abbraccia una fetta di pubblico sempre più grande, complice soprattutto la scelta degli artisti da portare sul palco.

Se nella scelta musicale abbiamo visto negli ultimi anni grandi passi avanti per sincronizzarsi con la contemporaneità, lo stesso non si può dire per la rappresentazione della figura femminile.

Partiamo dalla prima serata, dalla presenza di Chiara Ferragni sul palco trincerata da due guardie del corpo che la guardano per scrutare se sarà “brava abbastanza”, se la scelta fatta “paga”.
Ferragni è brava, la parte di emozione che comunica è quella che vuole comunicare per aprire un canale di empatia con il pubblico, appare evidente come e quanto si sia preparata e quanto abbia studiato per stare lì al meglio delle sue possibilità.
C’è però un cortocircuito piuttosto evidente: lei, la donna con 28.7 milioni di follower, la più influente imprenditrice italiana al mondo si trova lì su quel palco tra due uomini adulti che la scrutano e le fanno pubblicamente complimenti per aver letteralmente aperto bocca, parlato, letto un gobbo, retto all’attenzione delle telecamere. La retorica e il patriarcato che si ergono sul palco fanno a cazzotti con il simbolismo dei vestiti con cui la Ferragni vorrebbe riempire la sua presenza sul palco.

E poi, la tassa che bisogna pagare: il monologo. Ci si chiede come sia stato possibile che una persona così abile nella comunicazione abbia potuto compiere una scelta così al ribasso, così fuori fuoco, e anche come possa esser stata lasciata sola nello scrivere una lettera alle sé stessa bambina sul credere in sé stessa; come sia stato possibile che nessuno l’abbia consigliata meglio di così. Che nessuno l’abbia fatta riflettere che era necessario, se questo era quello che voleva portare sul palco dell’Ariston, magari passare per la parte in cui, come sottolinea Maria Cafagna su Instagram “racconti di essere nata ricca e bellissima”. 

Ma vado oltre, mi chiedo perchè le donne nel duemilaventritrè debbano per stare sul palco più famoso d’Italia qualificarsi ogni singola volta che lo calpestano innanzitutto come esemplare femmina, e non come essere umano. 

Perché il corpo della donna anche qui debba essere esposto, celebrato se corrispondente ai canoni di bellezza che la società impone; condannato se non corrispondente, ma comunque guardato, scrutato con la lente di ingrandimento. Passato e presente di una società che guarda con gli occhi del patriarcato, di un sistema sociale che vede e prevede le direttrici patologiche di questo sguardo ma incosciente continua a desiderarlo, produrlo. 

Perché non possa ancora esserci un evento mediatico gigantesco come Sanremo nel quale i monologhi vengano stabiliti sul contenuto e non relegati a mera concessione maschilista. Dove i ruolipossano essere più fluidi e le donne non vengano chiamate per nome ma abbiano pari dignità degli uomini. Dove alle donne possa essere finalmente riconosciuto il ruolo di professioniste dello spettacolo e non coach motivazionali messe davanti ad un leggio a guadagnarsi il ruolo, il posto, il palco. 

Perché il futuro era ieri e in Italia non è ancora arrivato?

Ci vediamo sabato,

Doc 

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